
Danza e neuroscienze: dentro il cervello che balla
Da quando, negli anni ’90, l’équipe di Giacomo Rizzolatti scoprì i neuroni specchio, la danza è diventata un laboratorio privilegiato per i neuroscienziati.
Queste cellule si attivano sia quando eseguiamo un gesto sia quando lo osserviamo: spiega perché guardare un assolo di Akram Khan ci “fa muovere dentro”.
Ma il fenomeno va oltre l’empatia motoria.
Nel 2024 la Harvard Medical School ha pubblicato uno studio in Neuron: 40 adulti hanno seguito un corso intensivo di contact-improvisation di 12 settimane.
Le neuroimmagini hanno mostrato un aumento del 7 % nello spessore della corteccia premotoria e connessioni rafforzate tra l’ippocampo e la corteccia prefrontale dorsolaterale, aree cruciali per memoria episodica e flessibilità cognitiva.
In parole semplici: ricordiamo meglio e cambiamo strategia più velocemente.
La danza agisce anche sull’asse ipotalamo-pituitaria: i picchi di dopamina legati al ritmo sincronizzato alzano la soglia del dolore, motivo per cui i ballerini spesso “non sentono” piccole contusioni in scena.
Parallelamente, l’ossitocina secreta durante esercizi di partnering riduce il cortisolo, abbassando i livelli di stress.
Un benefit che la psicoterapia sta iniziando a integrare: gruppi di danza-movimento per i disturbi d’ansia registrano drop-out inferiori rispetto agli approcci verbali tradizionali.
Interessante il rapporto con la creatività: i coreografi sperimentali mostrano attività elevata nel default mode network, l’insieme di regioni cerebrali che si attiva nella divagazione mentale.
Quando un danzatore “trova” un nuovo passo, si osserva un passaggio di stato dal controllo esecutivo (rete task-positive) all’immaginazione (rete default), segno che l’innovazione nasce dall’alternanza fra focus e rilascio.
Infine, implicazioni cliniche: programmi di danzaterapia hanno rallentato il declino motorio nel Parkinson fino al 15 % rispetto alla fisioterapia standard.
Il pattern oscillatorio della musica guida il sistema nervoso centrale a “risincronizzare” il cammino.
I ricercatori stanno testando stimolazioni transcraniche combinate a esercizi di tango argentino: la sinergia sembra promettere ulteriori miglioramenti nella rigidità muscolare.
In sintesi, ballare è un hacking gentile del cervello: scolpisce non solo il corpo ma l’architettura sinaptica, aprendo piste terapeutiche ancora inesplorate fra arte e scienza.